Quando nel 2012 pubblicammo il Dizionario storico dell’antifascismo modenese, decidemmo di escludere dai profili biografici, per ovvie ragioni, i confidenti della polizia che si erano infiltrati nel movimento antifascista – dedicando una sola biografia al capo dell’Ovra regionale Giuseppe D’Andrea, figura decisiva dell’apparato repressivo fascista - ma di provare invece a biografare gli antifascisti che erano diventati informatori, per cercare di capire, come scrivevamo,
“attraverso quali percorsi mentali e concreti queste persone, in alcuni casi con un curriculum antifascista di tutto rispetto, [erano] arrivate a fare questa scelta”. Decidemmo di biografare anche quelli che, a un certo momento, avevano deciso di aderire al fascismo. Anche in questo caso, per “capire le ragioni di tale scelta, se frutto di reale convincimento o necessità strumentale”.
Non era dunque presente alcun motivo ‘moralistico’, o alcuna volontà di condannare persone per le loro scelte, ma il desiderio di capire, nella consapevolezza che vivere sotto una dittatura costringe a fare scelte e qualche volta a scendere a patti, perché non si vedono vie d’uscita o perché si temono conseguenze su altri o sulla propria famiglia.
Una di queste figure è appunto Silvio Cattini di Soliera. Rispetto alle informazioni disponibili – il fascicolo della polizia su di lui, le ricerche compiute da importanti storici del fascismo – era stata redatta una scheda biografica che evidenziava il suo ruolo di informatore. Sollecitato dal desiderio di chiarire il ruolo effettivo avuto da Cattini durante la lotta antifascista e le vicissitudini vissute dopo la Liberazione, il nipote William ha successivamente approfondito la sua figura.
Ne esce un quadro più articolato che, se da un lato conferma la presenza di contatti con le strutture dell’Ovra, prova a mettere in discussione il ruolo effettivo di confidente di Cattini. Pur rimanendo convinti della correttezza della ricostruzione compiuta nel Dizionario dell’antifascismo – e nei volumi dedicati alla storia dell’Ovra – riteniamo comunque utile concedere spazio a questa diversa ricostruzione, a dimostrazione di quanto lavoro si possa e si debba ancora fare per conoscere la storia dell’antifascismo modenese.