Chi era Nicola Pende, un eroe o un malfattore? Con questa domanda si apre il 'Processo al Manifesto della Razza. Il caso Nicola Pende' andato in scena venerdì 25 gennaio al Teatro San Carlo di Modena al cospetto di centinaia di studenti superiori [GUARDA IL VIDEO INTEGRALE]
Chi pone la domanda richiama un antefatto. Il libro di Franco Cuomo pubblicato nel 2005 “I dieci. Chi erano i professori che firmarono il Manifesto della Razza” citava fra i firmatari anche l'endocrinologo di fama mondiale Nicola Pende (Noicattaro, 1880 – Roma 1970), fondatore dell'Università di Bari e tre volte candidato al premio Nobel. Di lì a poco amministrazioni comunali come quella di Bari si adoperarono per rinominare le vie a lui dedicate, suscitando numerose polemiche. Alla proposta di organizzare nel paese natale un convegno a lui dedicato, l'amministrazione rispose che avrebbe accettato esclusivamente interventi elogiativi.
“Il processo di oggi non deciderà colpevoli o innocenti, ma servirà a voi studenti, i veri giudici, a capire quale apporto Nicola Pende diede alle politiche razziali e razziste del regime fascista”
apre Antonio Brusa, presentando il giudice – Alfonso Botti dell'Università di Modena – l'avvocato dell'accusa – Alberto De Bernardi dell'Università di Bologna – e l'avvocato della difesa, Antonello La Vergata dell'Università di Modena.
Il processo vede alternarsi le arringhe dell'accusa e della difesa, che chiamano a testimoniare lo stesso Nicola Pende attraverso i suoi scritti e un numero di altri testimoni del passato, da Abraham Lincoln a Carlo Alberto Viterbo, a Theodosius Dobzhansky, a padre Agostino Gemelli, a Indro Montanelli per citarne alcuni.
Viene richiamata l'analogia di metodo di inchiesta giudiziaria e ricerca storica, entrambe basate sulla ricerca di indizi, ma differenti negli esiti: l'emissione di una sentenza per la prima, la formulazione di ipotesi interpretative per la seconda.
L'accusa a Pende è l'accusa all'idea che la scienza debba essere al servizio del potere politico: la sua teoria – rivelatasi infondata -, che individuava nelle secrezioni ormonali l'origine della degenerazione fisica e psicologica, fu scienza ortogenetica, cioè finalizzata a raddrizzare menti e corpi e per questo asservita al fascismo, che ne fece un pezzo della biopolitica totalitaria. La conseguenza fu una devianza della scienza, non più libera ma asservita a un regime che intendeva cambiare non soltanto il mondo, ma i singoli individui per trasformarli in perfetti fascisti e perfetti lavoratori nella fabbrica fordista. Pende fornì dunque gli strumenti scientifici al razzismo italiano, anzi ne fu l'ideologo più raffinato, e nella sua battaglia per essere reintegrato nell'università dopo l'epurazione non si dichiarò mai pentito di questa concezione del rapporto tra individui e potere politico totalitario, responsabilità ancor più grave dell'aver firmato obtorto collo il Manifesto della Razza.
La difesa è articolata in tre punti: 1) l'imputato non ha violato nessuna legge allora vigente; 2) teorie e pregiudizi razziali erano a quel tempo quasi la normalità, essendo sostenute dalla quasi totalità di biologi, antropologi, sociologi e intellettuali vari ed essendo l'antisemitismo endemico persino nella cultura cattolica italiana; 3) tra giudizio penale, giudizio storico e giudizio morale esiste una fondamentale differenza: mentre il primo si chiude quando la sentenza passa in giudicato, giudizio storico e morale sono sempre aperti, anzi richiedono una revisione continua.
La difesa si appella alla clemenza della corte, chiedendo di estendere la sfera della responsabilità oltre la persona di Nicola Pende, considerando che cosa avremmo fatto noi allora al suo posto e ricordando che sulla separazione tra leggi umane e leggi morali si fonda la convivenza civile. Secondo la difesa, Pende non può essere processato poiché un processo a un morto non può essere un alibi per dimenticare il presente, lasciando spazio a un ”Alzheimer morale” oggi diffuso: occorre vigilare, ricordando che viviamo in uno Stato democratico perchè ci fu chi si oppose al fascismo.
La sentenza conclusiva parte dall'assunto della difesa secondo cui Nicola Pende era sì inserito in una società diffusamente razzista (e quindi non poteva considerarsi una 'mela marcia'), ma ciò non attenua l'importanza della responsabilità individuale e della sua graduazione: molti italiani si fecero abbindolare dal fascismo ma ci furono molti modi di essere fascista, da quello rassegnato a quello inconsapevole, a quello attivo o entusiasta.
Pende collaborò attivamente, ricoprendo un ruolo pubblico, alla definizione delle politiche del fascismo, essendo scienziato, fascista convinto dal 1924 e antisemita prima e dopo le leggi razziali.
Grazie al fascismo Pende si costruì un potere a cui non volle rinunciare, non prendendo le distanze dal regime neppure con l'inizio della persecuzione antiebraica: la sua responsabilità morale coincide dunque con quella politica.
Daniela Garutti
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Le letture presenti nello spettacolo sono disponibili facendo richiesta a didattica@istitutostorico.com
Processo al Manifesto della razza. Il caso di Nicola Pende
Azione teatrale per le scuole secondarie di II grado A cura di Fondazione Collegio San Carlo e Istituto Storico di Modena
Introduce Antonio Brusa, Università degli studi di Bari
Accusa: Alberto De Bernardi, Università degli studi di Bologna
Difesa: Antonello La Vergata, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
Giudice: Alfonso Botti, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
Testimone dell’accusa: Barbara Zanfi
Testimone della difesa: Lorenza Zanni
Testi scelti da Giovanni Cerro, Fondazione Collegio San Carlo
Letture a cura di Marzia Gallo, Emilia Romagna Teatro
Comitato per la Storia e le memorie del Novecento del Comune di Modena